19 LUGLIO: ALEJANDRO ESCOVEDO & THE SENSITIVE BOYS

Trieste is Rock nell’ambito della manifestazione Trieste Estate 2012 organizzata dal Comune di Trieste vi presenta:

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ALEJANDRO ESCOVEDO & THE SENSITIVE BOYS

19 luglio,  Piazza Verdi ore 21

ENTRATA LIBERA
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Probabilmente se Jim Morrison, Jimi Hendrix o Janis Joplin fossero sopravvissuti alla loro vita da rockstar, avrebbero passato il resto dei loro giorni a combattere contro i malanni dell’età come i comuni mortali, invece di continuare a sfidare quotidianamente la morte. L’immagine ben poco affascinante di una Janis intenta a farsi i lifting contro le rughe o di un Jim con il mal di schiena avrebbe fatto inorridire anche il giovane Alejandro Escovedo, ma oggi è proprio questo ex ribelle del rock a raccontarci tutt’altra storia. Lui è uno che dopo le rabbiose pruderie giovanili, spavaldamente sfogate in una pericolosa rebel-music-way-of-life, ha dovuto affrontare l’orrore del proprio lento decadimento fisico e il dolore della malattia. La sua è stata una vita costellata di eccessi e disgrazie, ma la sua odierna immagine di rocker malato, tenacemente sempre on the road, cozza un po’ con quell’ideale da mitologia rock che ha ucciso Kurt Cobain professando il verbo dell’ “it’s better to burn out, than to fade away”, e che oggi sembra in crisi nel creare nuovi miti altrettanto credibili nel farsi del male. Escovedo non sarà dunque il prossimo martire del carrozzone dello show business, innanzitutto perché una rockstar che si ammala non fa notizia quanto un bel suicidio da letteratura, secondariamente perché se il successo dipende dal “physique du role”, neanche il più scaltro degli stilisti o dei marketing manager riuscirebbe a trasformare in una icona da poster questo timido mulatto con la faccia pulita.

Alejandro Escovedo nasce il 10 gennaio 1951 a San Antonio, in pieno Texas, settimo dei dodici figli di due emigranti messicani, con un padre sempre impegnato a suonare nelle mariachi bands. Il fratello Coke Escovedo fu lo storico batterista dei Santana, prima di morire tragicamente nel 1986, quando venne sostituito nel ruolo dall’altro fratello Pete, la cui figlia (giusto per chiudere il vorticoso cerchio famigliare) è Sheila E., la funambolica batterista dei Revolutions di Prince. Eppure quel battito primordiale che pulsava nei cromosomi di famiglia Alejandro non lo sfogava battendo sui bidoni dell’immondizia come i fratelli, ma straziando le sei corde di qualunque chitarra gli capitasse a tiro, conquistato fin dalla tenera età dalla musica di tutte le band pre-punk dei primi anni 70, Stooges in testa. La sua vita artistica inizia nel 1976 come chitarrista dei Nuns, una delle prime punk-band di Los Angeles, una sorta di “wild side” dei Velvet Underground (con la perversa Jennifer Miro nel ruolo di Nico e Jeff Olener in quello di Lou Reed). La band non pubblicò LP veri e propri, ma solo alcuni singoli dai titoli ben eloquenti come Decadent Jew, Suicide Child o Child Molester, tutti co-firmati da Escovedo. Con un simile curriculum da bad boy del rock, oltre ad un paio di reali tentativi di suicidio degni di un vero artista maledetto (fortunatamente non andati a buon fine…), Escovedo salì il secondo scalino della sua vita artistica incontrando i fratelli Chip e Tony Kinman e formando con loro i Rank And File, un fondamentale punto di incontro tra la musica rurale americana e il punk californiano. Ma non si fermò qui: schiacciato dalla personalità dei talentuosi fratelli Kinman, lasciò presto anche questa band e si trasferì ad Austin, dove con i True Believers segnò un altro passo importante, la creazione dell’anello di congiunzione tra il cantautorato tipico della città, il southern rock e ancora quella matrice di rumore e anarchia sonora che comunque non abbandonerà mai del tutto. Ma l’ultimo scalino decisivo Alejandro lo ha fatto da solo, nel 1992, inaugurando una carriera solista che rappresenta uno dei più completi e personali melting pot di Texas, California e New York, tre anime di tre americhe diverse, che si sono parlate per la prima volta (senza insultarsi più di tanto…) nella sua musica. L’ultima svolta stilistica non è stata però dettata da un urgenza creativa, quanto dall’ennesimo colpo di sfortuna che lo ha colto nel 1999 sottoforma di una epatite C, una malattia che Alejandro ha tentato di ignorare fino al 2003, quando l’arrivo della fase acuta lo ha costretto a cure dolorose (e costosissime, ben oltre le possibilità di un onesto rocker texano). La storia recente di Escovedo parla di album tributo di colleghi e mille iniziative per racimolare soldi per salvarlo, ma parla anche di un artista che non si è arreso e che con The Boxing Mirror del 2006 ha tradotto la sua tragedia in un altro nuovo suono, un’altra avventura che quest’anno dovrebbe fruttare un secondo capitolo che sa già sulla carta di Iggy Pop, David Bowie e glam rock fin dalla produzione assegnata a Tony Visconti. Ma ovunque andrà la sua arte, e finchè avrà le forze per farlo, Escovedo rimarrà sempre uno dei più originali e del tutto inimitabili autori del nostro tempo, e forse proprio l’irriproducibilità del suo canto e del suo stile di scrittura ha fatto di lui solo un buon esempio, ma mai un vero e proprio modello per le nuove leve della canzone americana, una sorta di padre senza figli che è ancora alla ricerca di qualcuno a cui lasciare di diritto una cospicua eredità artistica. Singolare dunque che l’illustre rivista No Depression abbia consacrato lui come “Artist of The Decade” degli anni 90, e non, ad esempio, gli Uncle Tupelo, padrini onorari della testata, e citati come modello e fonte di ispirazione da più parti. Simili titoli nobiliari nel rock hanno sempre contato poco, ma nel caso di Escovedo, che non vanta vendite degne di finire sui rotocalchi, ha rappresentato l’unico riconoscimento per un carriera con ancora nessuna macchia da lavare.

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